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La famiglia di Carter

Sette anni fa, oggi, il mio primo libro vedeva la luce. Perfetto (La trilogia di Lilac #1) è entrato nelle case e nel cuore di migliaia di persone, in Italia e all'estero. Si tratta della mia prima opera, del mio primo figlio di carta, e come tale è per me molto speciale. Perfetto rappresenta un traguardo importante per una ragazza che ha scommesso e investito su se stessa. Rappresenta, inoltre, l'inizio di un viaggio in un mondo che mi ha permesso di crescere, come autrice e come donna. Un mondo che è stato apprezzato, nonostante le sbavature e le imperfezioni che solo una prima opera può avere. Per celebrare questo anniversario, ho deciso di condividere con voi un inedito dal titolo La famiglia di Carter . Grazie per questi sette anni. Grazie per i commenti positivi e anche per quelli negativi. Grazie per il passaparola e per il supporto incondizionato durante la scrittura e le revisioni. Grazie per aver pazientato tra un libro e l'altro, e per continuare a farlo. Buona

Il mio nuovo libro: titolo, estratti, data di pubblicazione e copertina

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Se seguite la mia newsletter , gran parte di questo post sarà un ripasso. Cercherò in ogni caso di andare dritta al punto; ho diverse cose da dire, e con me il rischio che si vada per le lunghe è sempre molto elevato. Sorry, not sorry. Come forse sapete, da alcuni mesi sto lavorando ad un nuovo romanzo, il cui titolo è LA DONNA DELLE PULIZIE La donna delle pulizie  è la storia più romantica e più realista che io abbia mai scritto. I protagonisti sono Amelia Pesce, una donna che ha appena compiuto 30 anni, e Marco Caruso, un medico che di anni ne ha 38. Questo libro, come ho avuto modo di dire nella newsletter, è un retelling di Cenerentola. Cos'è un retelling ? Risposta: è la rivisitazione in chiave moderna di una vecchia storia. Pensate a Beastly , di Alex Flinn, o a Once Upon a Time , la serie tv. "È possibile, al giorno d'oggi, raccontare una favola mettendo da parte gli stereotipi di genere che rendono la protagonista una damigella da salvare e il protagon

8 cose che ho imparato in 25 anni con le mestruazioni

Il 16 gennaio del 1994 era domenica. Lo ricordo perché non ero andata a scuola. Avevo indossato l'ultimo completo che mia madre aveva cucito per me - giacca, gonna e camicetta, tutto molto elegante - e avevo partecipato al pranzo di famiglia. Zii, cugini, nonni. Antipasto, primo, secondo, contorno e dolce. Avevo compiuto 10 anni nell'agosto del '93. Portavo i capelli in un caschetto liscio, avevo gli occhiali da vista rosa, con la faccia di Puffetta sulle stanghette. Ero la più brava della classe, avevo una cotta per un ragazzo di quattro anni più grande che vedevo per cinque minuti ogni mattina (io andavo alle elementari, lui al liceo; mi sembrava così grande e affascinante). Quella domenica, per tutta la mattinata, ebbi quello che all'epoca classificai come un semplice mal di pancia. Nel pomeriggio, quando andai al bagno per fare la pipì, scoprii che le mie mutandine erano sporche di sangue. Ricordo che raggiunsi la porta del bagno goffamente, con le calze e le mu

Adesso basta.

Una sera di diversi anni fa, ero a casa da sola, stavo cenando. Non ricordo cosa mangiavo, ma ricordo che fuori pioveva a dirotto. Andava avanti così da giorni. Il fiume vicino casa era ingrossato, le strade erano allagate, e il mio umore era pessimo perché il maltempo non mi permetteva di andare a correre. Io vivo al primo piano di un palazzo costruito quasi un secolo fa, in una stradina tranquilla di una cittadina borghese che affaccia sul mare. Il mio è un quartiere sicuro, e i miei vicini sono persone rispettabili, di cui mi fido. Se il citofono suona, posso permettermi di aprire senza chiedere chi è. Se a suonare è il campanello, posso aprire senza guardare nello spioncino. A volte lo faccio, soprattutto se riconosco il rumore delle chiavi dell'architetto, o se sento il passo della vicina che scende dal terzo piano per venire a chiedermi qualcosa. Stradina tranquilla, quartiere sicuro, vicini di cui mi fido. Quella sera ero a casa da sola, dicevo. Stavo cenando. Il campan

Cassandra Clare, Pino Wilson, e io

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Questa newsletter sarà breve rispetto alle altre, per una ragione in particolare: la depressione è  un Dissennatore  che succhia via non solo la gioia, ma anche la capacità di essere produttiva. Gli alti e bassi sono parecchio alti e parecchio bassi.  Le medicine sono utili, e anche se è grazie a loro che sono qui a scrivere, non riuscirò comunque a trattare tutti gli argomenti che avevo inserito nella scaletta qualche settimana fa. Recupererò, promesso :) Cassandra Clare è una delle mie donne preferite. Amo i suoi libri, e la sua scrittura è fonte costante di ispirazione per me. In questo post (cliccate sulla foto per leggerlo) dà qualche consiglio su come affrontare la scrittura quando la tua salute mentale non è al top. Magari può essere utile a qualcuno di voi. Io tifo Lazio. Se mi conoscete, la cosa non è una novità. Se non mi conoscete abbastanza, ora lo sapete. Tutto è iniziato col secondo scudetto, nel maggio del 2000. Da quel giorno, il mio tifo è pian piano cresciuto,

Freddie Mercury, Barack Obama e io

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Errare è umano, e quando scrivi finisci sempre per commettere degli sbagli. Non parlo solo di errori ortografici, sviste nella trama, refusi duri a morire. Parlo di quegli errori causati dall’inesperienza, inevitabili eppure utili per ogni scrittore che desidera imparare a gestire sia l’arte (la scrittura) che la condivisione (il rapporto con i lettori). Di seguito, troverete tre errori che ho fatto negli ultimi sei anni. Non sono gli unici, eh. La lista è lunga. Ho scelto questi perché mi hanno segnata di più, e perché sono quelli di cui avrei tanto voluto sentir parlare prima di intraprendere il viaggio nel mondo della pubblicazione. Io, 9 volte su 10, quando rileggo ciò che ho scritto. Errore #1: i maledetti refusi Non importa quante volte leggerai il tuo manoscritto, ci sarà sempre una lettera al posto sbagliato. Sempre. Un ‘contentw’ invece di ‘contente’, un ‘mino’ invece di ‘mini’. A volte è facile beccare i maledetti refusi: il controllo ortografico è un aiuto eccez

Politicizzate la mia morte.

Se dovessi morire in circostanze drammatiche tali da far finire il mio nome sui giornali, vi chiedo cortesemente di politicizzare la mia morte e me stessa nell’unico modo possibile. Politicizzatemi ricordando che ho vissuto in un Paese in cui le donne vengono sistematicamente trattate come persone di serie B. Un Paese in cui la parità di genere è vista come un crimine, e in cui la morte delle donne è usata dagli sciacalli per guadagnare voti, consenso e potere. Politicizzatemi ricordando che nel Sud in cui sono nata e cresciuta la condizione delle donne è peggiore rispetto al resto d’Italia, perché l’arretratezza culturale, economica e sociale che fa da base al sessismo e alla misoginia non è mai stata una priorità per nessuno degli uomini che hanno governato questo Paese (ad oggi, ottobre 2018, l’Italia non ha mai avuto una Presidente del Consiglio: ricordate anche questo; ricordate pure che le voci femminili, in politica, sono poche e distorte dal sessismo strisciante da destra