Di grazie e di spugne da gettare.

Quando ho deciso che avrei scritto un post a fine luglio per augurarvi buone vacanze, l'ho fatto pensando che le notizie sarebbero state di questo stampo: buon agosto a tutti, ci rivediamo a settembre con nuovi progetti e nuove uscite librose; ecco le date, ecco le copertine, ecco le trame.

'Pensando', a ben vedere, non è il termine giusto. 'Sperando' si adatta meglio al mio stato attuale.
Speravo che avrei potuto darvi notizie di un certo tipo.
Speravo di farcela.
(Io spero sempre di farcela.)
Ma anche se la speranza è una sensazione genericamente positiva, in questo momento della mia vita non è altro che una presa in giro che suona più o meno così: 'Spero di farcela... anche se sotto sotto so che non riuscirò a farcela'.

Questo per me non è un buon periodo, cari lettori. Non lo è da diverso tempo, ma da brava donna quale sono non faccio che dire a me stessa che sono abbastanza forte per affrontare tutto, che si tratta solo di un ostacolo passeggero, che andare a correre sistemerà le cose, che la musica guarisce i problemi.
Solo che a volte i problemi sono troppo grandi e troppo complicati. O forse sono io ad essere troppo stanca o troppo debole.
Non voglio tediarvi con i miei problemi. Hanno radici molteplici e profonde, e forse la soluzione è anche a portata di mano, ma io ora non la vedo. Non la vedo perché vivo in uno stato (pressoché costante) di ansia, preoccupazione, angoscia, tristezza, senso di colpa, senso di impotenza, e malinconia. La mia mente è parzialmente immersa in un cocktail di pensieri negativi e bui. I miei occhi sono influenzati da tali pensieri. Il mio spirito (in particolare quello artistico) è vinto. Negli ultimi tempi mi ritrovo a vivere 'per obbligo': mi alzo al mattino perché devo, socializzo perché devo, mi nutro perché devo, sorrido perché devo.
So di aver perso la fiammella che mi rende awesome, e francamente non so come riacciuffarla.
Depressione lieve, la definisce il medico, quindi se siete di quelli interessati alle diagnosi, eccovi la mia. Non è la prima volta che ne soffro, ma è la prima volta che il mantello nero dei dissennatori travolge anche la scrittura, l'unica cosa che mi ha sempre dato linfa vitale e forza per affrontare gli ostacoli.

Da un lato ci sono i neuroni - sempre attivi, nonostante la melma nera che mi riempie la testa - e dall'altro c'è la totale incapacità di scrivere qualcosa che sia meritevole di esser letto. Qualcosa che mi renda appagata, felice. Qualcosa che mi aiuti a fare quello che faccio sempre quando scrivo, e cioè capire meglio me stessa e il mondo.
Negli ultimi due mesi ho scritto molte cose: la storia di Charlie, buona parte di quella di Mordecai, i primi due capitoli del seguito di Come l'ultimo rigore, e infine l'inizio di una storia che ha a che fare con una nuova serie di libri.
Quando ho progettato questo post, l'intento era quello di darvi le date di pubblicazione per Charlie e Mordecai, di annunciarvi il sequel e di parlarvi della nuova serie. Purtroppo non posso fare nulla di tutto questo, perché A. ora come ora non so se pubblicherò mai più qualcosa e B. ciò che ho scritto negli ultimi mesi è, ai miei occhi, orribile. E non lo dico nel senso di 'Oddio, mi serve una buona fase di editing'. Lo dico nel senso di 'La fiammella che si è spenta in me si è spenta anche in ciò che scrivo. Non riconosco più la mia voce di autrice. Non riconosco più la mia arte. Non sono contenta e soddisfatta del mio lavoro.'
Mi sto ritrovando a scrivere per obbligo, cari lettori. Mi dico che posso farcela, ma invece detesto ogni minuto passato con Word. Detesto le mie idee, detesto il mio modo di trasformarle in dialoghi, scene, capitoli. Alla fine di una giornata passata obbligandomi a scrivere mi ritrovo con delle parole che detesto profondamente. Ciò mi fa sentire ancora più ansiosa, preoccupata, angosciata, insicura e arrabbiata.

Non mi piace sentirmi così. È orrendo. È frustrante. Raccontare storie è sempre stata una fonte di gioia per me, e questo cambiamento mi sta destabilizzando molto. Non dovrebbe essere così. Non dovrebbe. Essere. Così.

Se ho imparato una cosa nei miei (quasi, manca poco...) 34 anni, è che sempre non è per sempre; che tutto passa; che anche il più buio dei tunnel ha una via d'uscita.
Sono sicura che supererò questa fase. Sono sicura che riuscirò ad avere (anche stavolta) la meglio sui dissennatori. Dentro di me, sotto numerosi strati di melma nera e di pensieri negativi, c'è ancora la ferma convinzione che la vita sia meravigliosa, e piena di opportunità, e degna di essere vissuta. (A ricordarmelo, anche nei momenti più tremendi, ci sono le persone che mi amano e mi vogliono bene, e per questo so di essere tanto fortunata.)
Tuttavia, ora come ora devo fermarmi. Gettare la spugna. Premere Stop. Smetterla di obbligare la mia mente e le mie dita a fare qualcosa che non riescono più a fare.
Ora devo, nonostante non fosse questo il progetto iniziale, dirvi che tutti i miei progetti lavorativi si sono fermati. Ora devo dirvi che non ho la più pallida idea di quando pubblicherò il mio prossimo libro. Ora devo dirvi che non posso più scrivere, e che questa cosa andrà avanti fino a che non proverò di nuovo gioia rileggendo le mie parole.

So che in molti aspettavano la storia di Charlie e Mordecai: mi dispiace davvero di darvi una delusione, ma non riesco a lavorare nel modo in cui ho provato a fare negli ultimi tempi, e cioè con una pistola virtuale alla tempia. Non posso farvi leggere delle storie di cui io per prima non sono orgogliosa e contenta. Non è così che intendo la scrittura. Non è così che voglio essere.
Mi dispiace anche per chi si aspettava altre novità. Ho creduto fino all'ultimo di poter vincere la malinconia che sommerge buona parte della mia creatività, ma davvero non ce l'ho fatta. I dissennatori sono tanti, e il mio Patronus è provato.

Non so quando riprenderò a scrivere. Non so quando pubblicherò qualcosa. Da un lato mi sento in colpa, dall'altro mi dico che forse questo annuncio mi aiuterà a ritrovare un po' di tranquillità. In ogni caso sentivo il bisogno di parlarne, e di farlo così.
Spero possiate capire. Spero possiate aspettare.

E spero, per concludere, che vogliate accettare un GRAZIE più grande di tutti i grazie che vi ho dedicato da quando scrivo e pubblico. Grazie per tutto l'affetto che non mi avete fatto mancare da quando, cinque anni fa, ho deciso di pubblicare da sola il mio primo libro. Il vostro affetto ha contribuito a rendermi un'autrice migliore, una donna più forte, e spesso e volentieri ha spazzato via tanti dei dissennatori. Spero sarà così anche stavolta.

Buone vacanze, belle persone. Mi auguro che la vostra estate sia piena di cose belle, e le vostre librerie (cartacee e/o elettroniche) siano sempre ben fornite.

Alla prossima.

Commenti

  1. Ehi. Non so se posso permettermi di passare di qui e commentare, perché non ho mai letto nulla di tuo anche se ho sentito parlare di te benissimo da persone di cui mi fido e quindi sarà soltanto questione di tempo. Vorrei soltanto dirti che un pochino ti capisco perché le sensazioni di cui parli le vivo anch’io a fasi alterne e anche se non ho uno spirito particolarmente artistico. Fai bene a fermarti un po’: dedicati a ciò che ti fa star bene e non ti mette ansia e agitazione e alle persone che ti vogliono bene. Questo non è “gettare la spugna”: è riprendersi spazio vitale per tornare più forte di prima. Funziona, ti alleggerisce e ti fa respirare di nuovo. Almeno per me è così. Ti chiedo ancora scusa se mi sono permessa di lasciare il mio pensiero su qualcosa di così personale senza conoscerti, ma alle volte fa bene anche un abbraccio virtuale da una persona sconosciuta.

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    1. Non scusarti per aver lasciato un commento, Nadia. Lo accolgo e ti dico che in questo momento significa tanto per me. Abbraccio ricambiato. Grazie davvero.

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