La storia di Carlo

Nell'Agosto del 1948, mia nonna (che allora era una ragazzina) ricevette, assieme al resto della famiglia, la notizia della morte di suo fratello Carlo.
Carlo era un ventunenne - alto e robusto, capelli neri, viso squadrato e naso aquilino - che un anno prima si era arruolato nella Guardia di Finanza. A quell'epoca arruolarsi era un passo obbligato per i giovani. Subito dopo la guerra, le possibilità di guadagnare e prosperare erano misere al Sud, anche per chi - come Carlo - proveniva da una famiglia benestante. Suo padre (il mio bisnonno) possedeva terreni, case, allevamenti di bovini e di maiali; secondo gli standard di allora, Carlo era ricco, ma non per questo poté sottrarsi all'arruolamento. Un altro fratello, sempre nel 1947, aveva seguito la sua stessa strada.

In base a ciò che ho scoperto di recente, nel dopoguerra i finanzieri freschi di arruolamento (ma anche i carabinieri, o i soldati dell'Esercito) venivano spediti ai posti di confine. Le frontiere a quei tempi non erano aperte come lo sono oggi, e dopo dopo il conflitto la presenza dei militari era una necessità.
Nell'estate del 1947, Carlo venne mandato a Gorizia, a confine con la Jugoslavia. In quei mesi, a Parigi, erano stati firmati i trattati di pace che siglavano la fine della Seconda Guerra Mondiale. Quei trattati stabilivano diverse cose: gli stati vincitori, quelli sconfitti, i risarcimenti economici che gli stati sconfitti dovevano pagare, e i cosiddetti trasferimenti territoriali, ovvero la restituzione di quei territori che erano stati occupati/conquistati durante la guerra. La Finlandia restituì diversi pezzi di terra all'Unione Sovietica; la Romania recuperò quella parte della Transilvania che Hitler aveva assegnato all'Ungheria; l'Italia cedette, fra le altre cose, la Libia e la parte italiana della Somalia agli inglesi. 
I trattati di pace ridisegnarono i confini di molti paesi, e la città di Gorizia venne divisa in due parti. La zona a Sud e a Ovest era italiana; quella a Nord e a Est era jugoslava. 

Carlo, assieme a centinaia di altri giovani finanzieri, carabinieri e soldati, prestava servizio al confine fra Italia e Jugoslavia. Se, però, nel resto d'Italia le cose andavano (seppur lentamente) verso la normalità, a Gorizia il clima era diverso.
Per anni, il governo fascista di Mussolini aveva attuato una politica di italianizzazione e di repressione violenta in Slovenia, e nel 1941 Germania e Italia avevano attaccato la Jugoslavia, spartendosi il territorio occupato. L'Italia aveva annesso ai suoi confini parte della Dalmazia, Fiume e la penisola istriana. A contrastare fascisti e nazisti, c'era l'esercito comandato dal Maresciallo Tito, il quale (grazie anche ai russi e agli inglesi) riuscì, in parte, a respingere l'offensiva italo-tedesca. [Con l'armistizio del 1943, i tedeschi invasero i territori jugoslavi conquistati dagli italiani, e i cittadini italiani che vivevano lì furono vittime di persecuzioni e violenze da parte dei partigiani di Tito: conoscete tutti le foibe, giusto?]

Nel 1947, dunque, la situazione a Gorizia era questa: da un lato c'erano i militari italiani, col compito di mantenere i confini stabiliti dai trattati; dall'altro lato c'erano i militari dell'esercito di Tito, che desideravano avanzare per guadagnare un'altra porzione di territorio italiano (oltre ai territori restituiti a seguito del trattato); al centro, infine, c'erano i cittadini italiani e sloveni, che vivevano in una sorta di città-limbo.
Carlo teneva un diario dei suoi giorni al confine. Ne sono venuta in possesso qualche mese fa, e leggerne il contenuto è stato al tempo stesso tragico e meraviglioso. Il compito dei militari impegnati al confine, in special modo dei finanzieri, era quello di accertarsi che i titini non superassero le linee decise dal trattato. Allora i confini erano fatti di calce bianca, filo spinato e cavalli di Frisia; le comunicazioni via radio non erano avanzate come quelle di oggi; i mezzi a disposizione dei militari di un paese sconfitto dalla guerra erano scarsi e limitati.

Carlo scriveva che, soprattutto di notte, i tentativi di invasione dei titini erano la norma. Si sparava, si combatteva corpo a corpo, si rischiava quotidianamente la vita. Nebbia, pioggia, neve: i finanzieri tenevano d'occhio il confine ventiquattr'ore su ventiquattro e trovavano riparo in precarie baracche di lamiera sistemate poco lontano dal filo spinato. Erano giovani, spesso alla prima esperienza, lontani (lontanissimi, nel caso di Carlo) da casa e costretti a turni massacranti.
Nell'Aprile del '48, poco prima delle elezioni italiane, Carlo scriveva che ogni permesso era stato revocato per i militari della sua caserma; la tensione al confine era alle stelle, perché un'ipotetica vittoria del partito comunista avrebbe dato a Tito una scusa per avanzare nella zona italiana di Gorizia.

Ho letto il diario per conoscere una parte della storia della mia famiglia e grazie ad esso ho conosciuto anche una parte della storia d'Italia di cui non si parla mai abbastanza. L'idea generale è che il 25 Aprile del 1945 la guerra sia terminata, ma in alcune parti d'Italia le cose sono andate diversamente. A Gorizia, in città e nella provincia, le tensioni e gli scontri sono andati avanti per anni dopo la liberazione.

Subito dopo aver iniziato la lettura del diario, mi sono messa in contatto con la Guardia di Finanza di Gorizia per cercare di avere informazioni su Carlo e sulla sua morte. Ho avuto la fortuna di conoscere l'appuntato Michele Di Bartolomeo, che mi ha dato un mucchio di informazioni circa il lavoro svolto dai finanzieri al confine in quel periodo e mi ha permesso di scoprire di più della vita e della morte di Carlo.

Parlo di fortuna perché l'appuntato Di Bartolomeo, assieme al collega Federico Sancimino, si occupa da anni di ricerche storiche, soprattutto nel territorio di Gorizia, in relazione ai finanzieri che hanno prestato servizio in quella zona prima, durante e dopo la guerra.
Insieme, i due hanno scritto Dal primo colpo di fucile all'ultima frontiera. La Guardia di Finanza a Gorizia e Provincia: una storia lunga un secolo, un libro che racconta la storia - ricca e dettagliata - della Guardia di Finanza che ha operato a Gorizia e in provincia a partire dalla Prima Guerra Mondiale. Fra le varie testimonianze raccolte per il periodo relativo al secondo dopoguerra, c'è anche quella del mio prozio. Una parte del diario di Carlo è, infatti, inclusa nel libro.

Il libro sarà presentato venerdì 23 Maggio alle ore 10, presso la tenda "Apih" nei Giardini Pubblici di Corso Verdi a Gorizia, nell'ambito del Festival Internazionale della Storia organizzato da èstoria. Se siete in zona, o poco lontani, vi chiedo e vi consiglio di fare un salto alla presentazione e di partecipare alle iniziative in calendario (qui c'è il programma). Il Festival è ricco di appuntamenti volti a celebrare il centenario dalla Grande Guerra, e gli ospiti - italiani e internazionali - sono di alto calibro.



La storia del nostro paese passa anche per le vite di coloro che, in momenti difficili e precari, hanno onorato la bandiera italiana. Carlo era uno di questi. Se ne avete l'opportunità, date uno sguardo al libro che contiene la sua storia e quella di tanti altri giovani finanzieri.
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Approfitto di questo post per ringraziare pubblicamente Michele Di Bartolomeo e Federico Sancimino, del Comando Provinciale GdF di Gorizia, e Paolo Zamparo, del Comando Provinciale GdF di Udine, per l'aiuto e per la professionalità dimostratami in questi mesi di ricerche.

Commenti

  1. Ma che bel post!!!!
    Grazie perchè davvero non si parla mai abbastanza di queste cose!
    Mi chiedo perchè a scuola si limitino a propinare una sfilza di fatti e avvenimenti senza mai entrare nello specifico delle questioni...così come hai fatto tu in questo post!
    Sarebbe così semplice per un professore di storia far leggere qualcosa di vero - chissà quanti diari come quello del tuo prozio popolano gli scaffali delle librerie - per far appassionare gli alunni alla storia del nostro paese, e invece la fanno odiare!
    Peccato non essere in zona, mi sarebbe davvero piaciuto partecipare a questa presentazione!
    Hai avuto davvero fortuna a trovare queste persone che si occupano ancora della vicenda, è sempre bello rimettere insieme i pezzi della storia della propria famiglia...ogni volta che ci penso rimpiango di non aver prestato più attenzione ai racconti dei ricordi di mio nonno sulla guerra e sulla sua prigionia...ora purtroppo è troppo tardi! :(

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  2. Carissima Alessia,

    siamo noi che dobbiamo ringraziare te e la tua famiglia che avete aperto quel “cassetto”, chiuso da tanto tempo perché il dolore per la perdita di una persona cara ha bisogno del suo tempo per essere lenito, semmai ci riesca.

    Il vostro gesto, immaginiamo anche sofferto, ci piace pensarlo come una “seconda vita” del vostro Carlo e una forma di rispetto verso le tante Fiamme Gialle che hanno patito la difficile stagione del dopoguerra piena di incertezze e ferite mai rimarginate, stretti tra angosce e solitudine. Storie oramai dimenticate, o forse mai conosciute, che grazie anche a un vecchio diario intimo, pieno di quella carica emozionale spedita dal cuore all’inchiostro della biro, riemergono come una traccia della propria storia.

    E’ lasciato a noi il compito, seppur difficile, di rendere indelebile nel tempo quell’inchiostro, non per violare l’intimità di chi l’ha scritto ma per compiere a distanza di sessant’anni il percorso inverso: dalla punta della biro al cuore della gente, raccontando una parte della nostra storia finora persa in mille rivoli.

    Un grazie di cuore,

    Federico e Michele.

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